Il centro-destra nonostante il lancio di Parisi, é ancora ben al di là anche della sola decente presentabilità.
I 5stelle mostrano tutti i loro limiti a ricoprire ruoli di governo.
Nel Pd non alberga uno straccio di idea, ma solo tanta voglia di consumare vendette.
Insomma, non essendoci ancora una seria alternativa al presidente del Consiglio, la ripresa politica è tutta incentrata sulla valutazione della cosiddetta conversione di Renzi.
Il Paese perde colpi con la fiducia di famiglie e imprese in preoccupante calo, e il dopo terremoto ha ben presto assunto i contorni della querelle mediatico-giudiziaria.
Il Presidente del Consiglio ha fatto pubblica ammenda per aver personalizzato la campagna referendaria rettificando la modalità della comunicazione, rendendola meno aggressiva e strafottente, cogliendo l’occasione del terremoto per essere o apparire più inclusivo.
La stessa decisione di andare a Cernobbio, quando due anni fa agli esordi aveva fatto un punto d’onore non essere presente, la dice lunga sul fatto che molte cose sono davvero cambiate.
È ormai lontano il tempo del Renzi rottamatore, della polemica a sinistra e nei confronti dei sindacati, dell’irrisione verso l’opposizione interna al suo partito.
Ma il fatto è che il dopo non s’intravede e che il disegno sembra mancare. Ora interessa capire se il politico sfacciato si è trasformato non si dice in uno statista ma almeno un governante serio e preparato.
Una risposta piena e definitiva non c’è. Ma una cosa è sicura: non può bastare che l’alternativa non esista o comunque sia peggio. L’Italia ha bisogno di cambiamenti strutturali troppo vasti e profondi per potersi accontentare del “meno peggio”.
La questione del dopo terremoto lo testimonia: aver colto che la risposta non può essere solo il programma di intervento nelle zone colpite, ma una generale messa in sicurezza dell’intero territorio nazionale è andare nella direzione giusta. Ma perché quel “casa Italia” non si risolva in uno slogan vuoto, occorre saper mettere in campo un vero e proprio “piano Marshall” di modernizzazione del Paese, trovando le risorse nell’ambito di una ristrutturazione del debito pubblico.
Le scelta di Vasco Errani, amministratore pubblico di lungo corso, è indiscutibile. Ma nello stesso tempo sembra viziata da furbizia comunicativa, che rischia di prendere il sopravvento se sotto quel bel vestito rimanesse il niente.
Mancano chiarezza e coraggio nella revisione che sembra essere in corso della posizione del governo su legge elettorale e riforme costituzionali. Perché aspettare la sentenza della suprema Corte per dire che l’Italicum è una schifezza?
È il momento di sposare il coraggio intelligente del cambiamento con comportamenti credibili. Se il “nuovo Renzi” se ne dimostrerà capace, bene, altrimenti non sarà la mancanza di alternative a salvarlo.
Addì, 02 settembre 2016