E ORA AGISCA GENTILONI
Consumata la scissione dentro il Pd, ora si tratta di fare i conti con le conseguenze di questo passaggio politico, figlio naturale della sconfitta di Matteo Renzi al referendum. Quelle interne al Pd possono essere liquidate in poche battute. Infatti, è più interessante notare che le candidature di Emiliano e Orlando alle primarie hanno come vero obiettivo quello di fare in modo che Renzi non arrivi al 50%. Cosicché, nel caso che nessuno raggiunga la soglia a scegliere il segretario del Pd non saranno i cittadini dei gazebo, ma i delegati nell’assemblea nazionale. Con la conseguenza che alleanze e maggioranze verrebbero scompaginate, e un eventuale accordo tra Emiliano e Orlando metterebbe fuori gioco Renzi. Se poi, invece, Renzi ce la dovesse fare, saprebbe che c’è una componente decisiva per la sua tenuta, pronta a staccare la spina se dovesse ripetere l’errore di sentirsi padrone assoluto.
Tuttavia, non saranno le beghe del Pd a determinare i nostri destini più prossimi, a cominciare dalla scelta di quando andare alle urne. La partita vera si svolge in Europa e con l’Europa, e già se ne sono viste le avvisaglie con l’insistenza di Bruxelles nel pretendere subito da Roma una manovra correttiva, visto che si tratta di soli 3,4 miliardi. Il ritorno dell’inflazione, ovunque in Europa (tranne che in Italia), ad una crescita intorno al 2%, per effetto di una ripresa non travolgente ma significativa (sempre tranne che in Italia), rende più agevole chiedere che la Bce rialzi i tassi d’interesse. E se ciò accadesse, noi che già ora abbiamo lo spread oltre i 200 punti, ci ritroveremmo non solo a pagare 20-30 miliardi all’anno in più di oneri sul debito. Ecco perché l’Europa ci impone la manovra correttiva e pretende che la prossima legge di bilancio attui interventi per almeno 20 miliardi. Possiamo contestare (anche con ragione) un’austerità fine a se stessa ma questo non ci esime dal dover fare i conti con una situazione strutturale di finanza pubblica che ci rende drammaticamente vulnerabili.
Per questo il vero tema è il governo Gentiloni, non il Pd e i suoi mediocri conflitti interni. La legislatura va portata a compimento e l’idea di anticipare il voto, oltre che rispondere solo alle ansie di rivincita di Renzi, è alquanto sciocca, visto il calendario elettorale europeo, che rende più che conveniente votare a marzo 2018. Il Presidente del Consiglio Gentiloni, dovrebbe parlare agli italiani e offrire loro, ridandogli la speranza, la ricetta per far ripartire il Paese. Poco importa, poi, se il tempo a disposizione è esiguo e le possibilità concrete di fare poche. Ma di fronte alla gravità dei problemi che incombono, al cospetto delle attese europee e con il rischio crescente che la pochezza della politica è fondamentale dare un segno di vitalità. Gentiloni è rimasto “orfano” sia di Renzi, che vuole liquidarlo il prima possibile, e sia dei fuoriusciti capeggiati da D’Alema e Bersani, che lo vogliono vivo ma imponendogli una politica dal sapore antico. Ma qualche volta perdere i padrinaggi in politica è un vantaggio. A patto che si sappia approfittarsene.
Addì, 26 febbraio 2017