Ecco, terminata la prima fase per la formazione delle liste di Camera e Senato, nel Pd si è aperto un altro scontro, premonitore di una deflagrazione che potrebbe cancellarlo dallo scenario politico.
Non è certo una sorpresa quanto accade nel partito democratico: i segnali che le cose non andavano bene c’erano già da tempo e non solo per la scissione ma anche per gli umori più o meno sopiti presenti, sfociati poi in forti dissapori interni. Molti i dirigenti periferici che abbandonano il Pd, l’assenza del dibattito interno e, dulcis in fundo, il dimezzamento degli iscritti, sono una ulteriore, inconfutabile prova, della grave e irreversibile crisi che lo attraversa.
Le modalità con le quali Matteo Renzi ha definito le candidature, hanno messo a nudo quale sia il suo reale intendimento e cioè di voler fare un partito a sua immagine e somiglianza e con ciò cambiargli i connotati. Insomma non sarà più il Pd che si conosce bensì qualcos’altro che risponda esclusivamente alle sue volontà.
Infatti, dopo aver asfaltato le minoranze interne rimangiandosi l’impegno a dargli rappresentanza adeguata, il novanta per cento dei candidati posti nei collegi sicuri, sono di stretta osservanza renziana e pronti a governare con FI. Un Renzi scatenato che usando spregiudicatamente il suo potere, ha fatto strame dei molti pretendenti, collocando in lista personaggi di vario genere purché di suo gradimento. Quindi in molti rimangono a bocca asciutta vuoi per il minor numero di parlamentari che saranno eletti per il previsto consistente calo di consenso al Pd e vuoi per la scarsa audience di taluni pretendenti alla corte renziana.
Di fronte a questa situazione in molti rimangono amareggiati e a qualcuno scappa pure la lacrimuccia come nel caso di Debora Serracchiani sentitasi trascurata per il trattamento riservatole (seconda in lista alla Camera dopo Rosato) che le ha fatto toccare con mano quanto la sua carriera politica abbia imboccato la parabola discendente (la caduta della etoile).
Ma, non finiscono qui le disavventure di un Pd che ha cambiato pelle sulla testa di molti militanti che in buona fede sono ancora nel partito perché ci credono, inconsapevoli delle manovre dei loro dirigenti apicali. E lo si tocca con mano pure in Fvg dove le sorprese non sono mancate. Lista fatta tutta a Roma dove il Pd nazionale ha fatto quel che ha voluto mettendo in lista personaggi che mai nessuno dei locali avrebbe potuto immaginare. Non sono valse le proteste della dirigenza friulana a evitare certe decisioni. La Presidente della Regione ha dovuto accettare il secondo posto in lista alla Camera dei Deputati (prendere o lasciare), il predestinato Presidente del Consiglio, nonostante le lacrime sparse qua e là, messo fuori gioco posizionandolo in terza posizione (praticamente impossibile la sua elezione). Vince invece l’inaspettato Tommaso Cerno di cui non si comprende il merito, che ha però garantita la sua elezione a Senatore della Repubblica.
Ma, pur a fronte di questi fatti irricevibili, certi dirigenti locali del Pd accettano e pure con soddisfazione l’esito dei diktat nazionali, inconsapevoli che la rivolta interna al Pd sta montando molto velocemente.
Un Pd che in Fvg vedrà nei prossimi giorni defezioni importanti e un livello di conflittualità interna alla vigilia delle elezioni regionali che appiccherà un fuoco devastante alla casa dei democratici. Insomma, la casa del Pd che in Regione va a fuoco grazie alla fuga di una Serracchiani che non ha saputo essere all’altezza del compito politico affidatole e della fiducia che in molti avevano riposto in lei, ahimè, sbagliando!
Lì, 28 gennaio 2018