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Per crescere serve cambiar rotta
La ripresa non c’è e non ci sarà, senza un piano Marshall che non sia “lacrime e sangue”, ma neanche un libro dei sogni. Realtà batte fantasia 6 a 0. Dopo aver “scoperto” con inusitato stupore che nel primo trimestre la nostra economia è tornata a decrescere e aver appreso con la solita rassegnazione che il debito pubblico ha segnato l’ennesimo record (a marzo è aumentato di 12,8 miliardi, raggiungendo il nuovo massimo storico di 2.120 miliardi), ieri si è venuti a sapere che i consumi continuano a calare, visto che nei primi 3 mesi dell’anno le imprese del commercio contabilizzano un deprimente -3,7%, con il commercio al dettaglio non alimentare che risulta essere il più penalizzato (-4,2%). Così come pure il settore dei servizi se la passa male (-2,6% sempre nel primo trimestre), con il segmento turistico che mette a segno il risultato peggiore (-4,1%). Mentre la ripresa rimane una chimera, considerato che Unioncamere ci informa che i due terzi delle imprese del commercio e i tre quarti di quelle dei servizi prevedono sarà “calma piatta” anche nel secondo trimestre 2014. E il “non manifatturiero” pesa per oltre il 70% sul pil.
Allora, vogliamo smetterla di credere che la ripresa la porti la cicogna, di volta in volta chiamata Expo, semestre europeo, Alitalia data in sposa ad Ethiad, pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni? Tutte ottime cose, per carità, ma che non sono e non possono essere, neppure tutte assieme, un traino sufficiente per tirarci fuori da una stagnazione che è il massimo che la favorevole congiuntura internazionale ci poteva e ci può regalare dopo la più lunga e grave recessione della nostra storia. E, di conseguenza, vogliamo archiviare la fase dei proclami, delle slide e dell’autoreferenzialità e al contrario vogliamo imboccare la strada di provvedimenti organici, racchiusi in un grande progetto di trasformazione della società, dell’economia e delle istituzioni? Insomma, vogliamo predisporre e gestire quel “piano Marshall” che occorre per tirare fuori davvero il Paese da un declino che rischia rapidamente di diventare irreversibile?
Non si tratta, sia chiaro, di dare i voti al governo per quanto è stato fatto (e non fatto) fin qui, ma semmai di evitare che la pagella sancisca la bocciatura di qui in avanti. O meglio, dal 26 maggio in poi. Si tratta, infatti, di far passare quest’ultima settimana che ci separa dal voto, di far spurgare i veleni della contesa elettorale, e poi di rimboccarsi le maniche. Occorre archiviare al più presto queste elezioni, che hanno condizionato la partenza del governo Renzi e lo hanno costretto alla battaglia con Grillo sul terreno del populismo, e cambiare registro. Per esempio, sarebbe bello se a urne chiuse da palazzo Chigi non arrivassero valutazioni sul voto, ma il lancio di un programma che, pur senza essere “lacrime e sangue”, non sia un libro dei sogni. Partire dalla constatazione che la ripresa non c’è e che, a parità di politiche, non ci sarà, non è un’ammissione di colpa ma il segno di un’assunzione di responsabilità di chi mostra di avere la capacità di parlar chiaro al Paese – basta con le luci in fondo al tunnel – e di indicare un programma ben più incisivo di quello un po’ troppo elettorale fin qui descritto.