Andiamo in ferie senza la tanto attesa ripresa economica, di cui non si scorge neppure il minimo segnale, ma in compenso con il peso di una manovra correttiva dei conti pubblici di cui, dicono fonti bene informate, l’Europa potrebbe chiederci conto presto. In modo, così, da tagliare preventivamente la strada all’idea che elezioni autunnali possano evitarci quel dover rimettere mano al bilancio che fin qui il governo ha negato essere una necessità. E per farci sapere che non è il caso di fare i furbi e predisporre una manovra fatta di aria fritta, segnatamente maggiori entrate fiscali da lotta all’evasione e minori spese da spending review. Esattamente quello che teme il ministro Padoan, preoccupato per una deriva dell’attività di governo di cui fin dall’inizio non è mai stato convinto e che ora gli appare in tutta la sua fragilità.
Ma, soprattutto, andiamo in ferie dovendo assistere ogni giorno di più a sceneggiate che si recitano nelle aule parlamentari e nel circuito mediatico. Surreale il dibattito sul Senato e la legge elettorale, ruvide le uscite di chi (vedi Della Valle) ha deciso di suonare la campanella dell’ultimo giro a Renzi, assordanti le voci di dissapori interni al governo (Delrio, Lupi, ecc.), ridicolo il balletto intorno alla candidatura Mogherini in Europa.
Insomma, un quadro preoccupante, che non consente di alimentare quella carica di speranza che si era venuta creando con l’avvento di Renzi. Carica che non si è spenta, ma rischia di cominciare ad affievolirsi di fronte alla pochezza dei risultati in economia. Cioè non sarà la riforma del Senato o quella del sistema di voto, peraltro pessime entrambe, a convincere della bontà dell’azione di governo.
Stesso discorso vale anche per Berlusconi: non è la sua assoluzione nel processo Ruby, o il patto del Nazareno con Renzi che convinceranno i cittadini moderati che il futuro passa di nuovo per lui. Quella stagione politica non tornerà mai più. E non saranno certo le alchimie di rimettere insieme i cocci del vecchio centro-destra a ridargli una qualsivoglia prospettiva. In mancanza d’altro Forza Italia terrà i suoi voti, la Lega consoliderà il nuovo consenso che la linea anti-euro senza se e senza ma gli ha garantito alle europee, gli altri soggetti, magari riaggregati, potranno anche tenersi sopra la linea di galleggiamento. Ma con Berlusconi che a settembre compirà 78 anni, con un partito spaccato e privo di personalità, e con una coalizione che apparirebbe inevitabilmente come la riaggregazione della vecchia classe dirigente nel disperato sforzo di evitare l’eclissi definitiva, non è neanche pensabile di poter andare da qualche parte.
Il vero tema da affrontare è proprio quello di creare un’alternativa a Renzi. Prima di tutto per il bene dello stesso capo del governo, che ha bisogno o di un partner vero in una “grande coalizione” o di un avversario temibile in una dinamica bipolare minimamente seria. E poi per essere un’alternativa a questa idea micidiale che dopo Renzi c’è il diluvio. Idea che illude il presidente del Consiglio di essere indispensabile. Così come non consente al sistema politico di assestarsi: nonostante la scomparsa del centro, non solo non si è affermato quel bipolarismo maturo da tanti evocato, ma non c’è proprio il bipolarismo, né bipartitico né di coalizione. Sia perché dalle urne è uscito una sorta di tripolarismo, sia perché la crisi di Berlusconi e del berlusconismo ha fatto mancare una delle due parti in gioco. Né sta emergendo qualcosa d’altro, ed è una colpa grave di Renzi non rendersi conto che la transizione in atto deve trovare uno sbocco e questo non può essere determinato da una legge elettorale che ancor più di quella evirata dalla Corte Costituzionale regala una maggioranza di seggi a chi ha un consenso decisamente minoritario.
Insomma siamo in una terra di nessuno, privi di rotta, di strumenti per tracciarla e privi di uomini che lo sappiano fare. Andiamo pure in ferie, ma con la consapevolezza che questo vuoto va riempito al più presto. Buone vacanze.
Addì, 02 agosto 2014