Accadono eventi importanti, in Europa e nel mondo, ma la politica italiana sembra volgere lo sguardo esclusivamente al proprio ombelico. Si discute sulla tenuta del “patto del Nazareno” tra Renzi e Berlusconi e si scopre che è nato quello tra Pd e 5stelle. Si torna a discutere di legge elettorale, ma solo perché ormai anche i bambini hanno capito che le elezioni anticipate sono l’epilogo più probabile. Si lavora alacremente a preparare la partita più importante, quella del Quirinale.
Ci si trova di fronte a un quadro economico a dir poco precario. La Commissione Ue prevede per la zona euro una crescita dello 0,8% nel 2014 e di soli tre decimi di punto in più nel 2015, perché la ripresa resta fragile e la fiducia più bassa che in primavera, la fragilità dei mercati, e l’attuazione incompleta delle riforme strutturali. Numeri che diventano ben peggiori per l’Italia: -0,4% quest’anno, +0,6% l’anno prossimo.
La politica europea non trova la via del giusto equilibrio tra risanamento finanziario ed espansione, finendo per compromettere i generosi tentativi della Bce di dare liquidità al sistema e combattere la deriva deflazionistica. La debolezza di Obama, uscito sconfitto in modo brutale dalle elezioni di medio termine, rischia di complicare un quadro geopolitico già molto turbolento, con la “guerra dell’energia” a tenere banco, così come negli anni scorsi fu con la “guerra finanziaria”.
A tutto questo va aggiunto lo scontro che si è aperto con la Commissione Europea e la distanza sempre più ampia che ci separa dai tedeschi, non rafforza la posizione dell’Italia. Sta di fatto che la debolezza dell’Italia nel contesto europeo – che si aggiunge a quella strutturale della nostra economia – ci rende oltremodo fragili proprio mentre sarebbe necessario il contrario.
Renzi deve capirlo: in Europa non è come a casa, dove la logica “molti nemici, molto consenso” funziona. Lì devi difendere i tuoi interessi – sapendo bene quali sono, perché non sempre ne siamo consapevoli – esercitando la leadership. Il che avviene solo se metti l’empatia al servizio di dossier ben preparati e ben studiati e non sbagli valutazione sulle possibili alleanze (credere che Hollande ci avrebbe fatto da spalla contro l’austerità di stampo tedesco è stata una evitabile sciocchezza).
L’esempio più clamoroso è quello del credito. Oggi si stanno ponendo le basi per realizzare l’unione bancaria, cioè la prima integrazione importante dopo quella monetaria, e sbagliare mosse significa un indebolimento permanente di una struttura portante del sistema economico. Le regole con cui si sono fatti gli esami alle banche e si eserciterà la vigilanza in futuro non sono fastidiosi dettagli tecnici che interessano ai banchieri, ma decidono chi conterà nel sistema creditizio europeo ed essersene disinteressati, come hanno fatto gli ultimi governi italiani, è colpa grave.
Così come occuparsi, sia come governo nazionale che in sede comunitaria, degli investimenti da cui dipendono le sorti del nostro comparto manifatturiero, non è una noiosa perdita di tempo, ma un impegno di governo fondamentale.
Ma ovviamente, in prima battuta gli interessi da salvaguardare a Bruxelles sono quelli della nostra politica economica. Cosa che richiede anche il battere i pugni sul tavolo ma soprattutto presuppone di aver fatto con diligenza i compiti a casa. Evitando, per esempio, di dire bugie, che tanto hanno le gambe corte, sulle poste del bilancio dello Stato.
Mancano meno di due mesi alla fine del semestre europeo a guida italiana. Il rischio è che il periodo si chiuda senza che abbia lasciato traccia alcuna. Dunque, c’è poco tempo per imbracciare il coraggio e la saggezza e dimostriamo di saper prendere un’iniziativa capace di cambiare segno al corso della vita comunitaria. Anche perché, altrimenti, toccherà fare i conti con i mercati finanziari. E questa, rispetto a quella del 2011, sarà mortale.
Addì, 08 novembre 2014