Rischio deflagrazione
Oggi le divisioni tra e nelle opposizioni creano le condizioni per conquistare Palazzo Chigi e rimanerci, ma nello stesso tempo creano anche le premesse per generare dentro il partito leader o nelle maggioranze di governo i veri focolai di opposizione. E non è sana la democrazia in cui le tensioni politiche sono molto più forti dentro la maggioranza e dentro le opposizioni che non tra maggioranza e opposizioni. Anche oggi come ieri, poi, le responsabilità della conflittualità permanente vanno equamente divise tra il leader maximo e gli “anti”. Berlusconi era divisivo suo malgrado, Renzi lo è per scelta, ma il risultato rimane la guerra delle persone e non delle idee.
Sia chiaro, la fine della seconda Repubblica ha solo inaugurato una fase di transizione, tuttora in corso, che non ha ancora dato né le riforme istituzionali che servono ad aprire la terza Repubblica, né le riforme economiche che consentano di imboccare con decisione la strada della rinascita e dello sviluppo. Se ora mettiamo fine alla fin troppa lunga transizione iniziata nel novembre 2011 non andando avanti verso un sistema politico maturo, pacificato, più moderno, ma tornando indietro, allora tutto sarà stato vano, e il declino non troverà più anticorpi. Già la fiducia stenta a tornare, come dimostra la curva ancora troppo piatta di investimenti e consumi, figuriamosi cosa succede se si riesuma ciò che gli italiani hanno volentieri seppellito con il loro voto.
In queste ore si dice che il tema stia tutto dentro il centro-destra e in Forza Italia in particolare. In realtà c'è da dubitare che questa sia la lettura giusta. Non perché sfugga il processo di disintegrazione che sta frullando ciò che rimane delle componenti più di governo che di lotta dell’area moderata (Forza Italia, Scelta Civica e Ncd) a favore di quelle di lotta come la Lega in versione lepenista. È che non meno preoccupante è ciò che accade nel Pd e a sinistra, perché delle due l’una: o Renzi paga il fio dopo averlo già fatto con l’elezione di Mattarella alla sinistra interna ed esterna al suo partito, oppure torna al Renzi che manda a quel paese la Cgil sull’articolo 18, e allora i suoi oppositori interni lo mollano. In tutti e due i casi, le conflittualità si sommano, e la politica rischia di tornare nella palude dello scontro infinito e fine a se stesso.
Il problema, dunque, riguarda tutti, nessuno escluso. Compreso il nuovo inquilino del Quirinale, di cui si può apprezzare il silenzio, ma che non può mancare di rendere consapevole il Paese dei pericoli che corre se la politica butta a mare l’unica cosa che è stata capace di realizzare negli ultimi tre anni, la pacificazione.
Addì, 14 febbraio 2015