DESTINATI A NON INCONTRARSI
Non si sa come andrà a finire lo scontro in atto dentro il Pd. Si potrebbe anche dire che poco importa, se non fosse che le questioni in ballo sono decisive ai fini del funzionamento, o meno, del sistema Paese. Renzi e Bersani hanno torto ad entrambi. Il presidente del consiglio ha sfornato due riforme, quella del Senato e quella elettorale, che sono una cattiva risposta a domande di governabilità più che fondate. L’ex segretario del Pd su questi temi ha due torti di non piccolo conto: è arrivato tardi, dando la sensazione che si tratti di una battaglia di potere più che di un confronto costruttivo; non è portatore di una proposta alternativa, magari che riprenda le migliori esperienze europee, ma solo di pezze da mettere all’impianto delle riforme renziane.
Non è difendendo genericamente il parlamentarismo che si può conquistare il consenso degli italiani che hanno solo due cose chiare in testa: che l’Italia ha bisogno di un sistema istituzionale capace di produrre decisioni in modo rapido e ordinato e che quello sperimentato non ha funzionato. Semmai il tema è quello di avere maggiore governabilità in un contesto di pesi e contrappesi che rendano equilibrato e funzionale il rapporto tra parlamento e governo. Sapendo che il consenso popolare non può essere surrogato da premialità che possono anche assegnare a tavolino maggioranze parlamentari forti, ma che inevitabilmente sono destinate a rivelarsi politicamente deboli proprio perché non sufficientemente rappresentative. E che, dunque, le coalizioni sono il sale e non il veleno della democrazia, come erroneamente si tende a far credere anche perché altrimenti sono i partiti a diventare essi stessi coalizioni.
Bersani, che è uomo saggio e navigato, tutte queste cose le sa. E per questo manda segnali a Renzi. E Renzi, che è uomo furbo e svelto, ha colto mandando a sua volta segnali di disponibilità sulla questione del Senato. Tattica. Perché Renzi non può allearsi con chi ha dovuto rottamare per conquistare i voti dei moderati (senza i quali non va da nessuna parte) e Bersani non può favorire il disegno di Renzi di creare le condizioni per andare al voto anticipato potendo dare la colpa ai vecchi ex comunisti. In realtà i due sono prigionieri di uno schema di gioco che non lascia loro margini che finirà per penalizzarli entrambi, a prescindere da chi sarà il vincitore di questa contesa. Perché agli occhi degli italiani, che sono indotti a pensare che sia sul terreno dell’economia che vada giudicata la politica, e il governo in particolare, queste continueranno ad apparire pure schermaglie politiche. Tra l’ennesimo ping pong sulla legge elettorale cosi detta Italicum, la notizia che il Fondo Monetario ci assegna solo mezzo punto di crescita del pil per quest’anno e la notizia che il debito pubblico ha stabilito il nuovo record storico di 2.169,2 miliardi, si capisce con chiarezza a cosa danno peso gli italiani, in particolare quelli che producono ricchezza per sé e per gli altri.
Forse sarebbe bene che entrambi gli uomini forti del Pd riflettessero su questa osservazione che non ha nulla di populista perché è chiarissima l’importanza strategica delle riforme di sistema, ma non sfugge nemmeno come la fiducia o la sfiducia del Paese nei propri mezzi per uscire dal declino, stia molto più collocata sul fronte dell’economia.
Addì, 18 aprile 2015